News

Le immagini che parlano al cuore dei bambini di nove anni

Il bambino che inizia il percorso scolastico, dopo gli anni al giardino d’infanzia, alza lo sguardo verso la figura adulta, nella quale vuole trovare una guida sicura. Il riferimento cui guardare, la persona cui assomigliare, dalla quale apprendere “come si vive”. Tutto ciò che il maestro compie è meraviglioso, nessuno sa fare le cose come lui, nessuno usa le mani come lui o disegna alla lavagna come lui. Frasi tipiche (o celebri, direi, nel senso che sono reali… tra l’altro… con gran soddisfazione dei genitori!) sono: “Mamma, come vorrei che la maestra fosse la mia mamma!”, oppure: “Maestro, se potessi porterei a casa la lavagna, per ammirare ogni momento il tuo disegno!”.

Perché accade tutto questo? Il bambino muove i primi passi nella vita sociale e ha da impararne le leggi, le abitudini: come ci si comporta? Come si risponde a questa situazione? E cosa è bene dire in questo caso: posso scusarmi? Posso trovare una parola gentile? Posso, al contrario, reagire e rimettere l’altro al suo posto se ce n’è bisogno? O ancora, come posso usare le mie mani? Che cosa posso creare di bello con esse?

Il bambino è sorretto ancora da un’incondizionata fiducia. Nel mondo che lo circonda, nella natura, nell’adulto. Tutto è buono, ancora, solo ogni tanto l’armonia si increspa, ma basta l’intervento del maestro per sciogliere ogni conflitto e il bacio della mamma sulla fronte ancora guarisce ogni lacrima.

Cosa succede però con l’avvicinarsi ai nove anni?
Il bambino, ormai approdato in terza classe, si risveglia a se stesso in modo nuovo. Si sveglia al mondo, con sguardo nuovo. Una coscienza si desta in lui. Coscienza che è andata ampliandosi gradualmente ma che ora vive un momento di passaggio fondamentale, una significativa tappa biografica.

Per comprendere cosa vive nel sentimento del bambino, aiutiamoci con un’immagine. L’antico Testamento ci viene incontro, e in particolare il momento successivo alla creazione del mondo, quando Adamo ed Eva, che finora hanno vissuto nel mondo celeste, nel giardino dell’Eden che tutto offre, tutto elargisce, senza fatica né sforzo né sofferenza, vengono cacciati in Terra per aver trasgredito all’ordine di Dio di non mangiare dall’albero della conoscenza. 

Che cos’è l’albero della conoscenza? E’ la co-scienza appunto: mangiando da quell’albero che Dio aveva proibito l’uomo amplia la propria coscienza e, per la nascita di essa non può più vivere nel Paradiso, ora può soltanto dimorare in Terra. Lì Adamo ed Eva conoscono il dolore, la fame, il freddo, la vecchiaia, la morte.

Ogni ampliamento di coscienza dischiude nuove possibilità ma impone allo stesso tempo l’abbandono dell’armonia. Conoscere il dolore significa avere coscienza del bene e del male, e tra essi poter scegliere. Significa riconoscere che non tutto ciò di cui ho bisogno può giungermi in dono da altri, dal mondo, dalla vita stessa; ora c’è bisogno di me, del mio impegno, del mio sforzo, del mio lavoro. D’ora in poi ciò che servirà per la mia crescita, dovrò sempre più io stesso conquistarlo.

Questo però è un punto d’arrivo, la conclusione di un processo, una presa di coscienza che giunge a maturazione in anni successivi (e in qualche modo non ha mai fine nel corso della vita). Nello svolgersi invece,  di questo processo, nel maturare di questa prima consapevolezza, il bambino di nove anni lo vive nel sentire: sente affiorare in sé nuovi sentimenti cui non sa ancora dare un nome. Sente disorientamento, spaesatezza. Può chiamarli paure, forse, se giunge a tradurli in parole. Può temere di addormentarsi da solo, improvvisamente. Può non sentirsi sicuro spegnendo la luce. Oppure può rivolgere domande sulla morte. In ogni caso che cosa ci sta esprimendo?

“Prima abitavo un luogo in cui tutto accadeva da sé, a tutto provvedevano mamma, papà e maestro, se bisticciavo subito ogni cosa tornava al suo posto, se ero stanco ecco la possibilità amorevole di riposare, di trovare comodità e calore. Ora invece, di quante cose sto imparando ad occuparmi io?” E ancora: “Prima ero tutt’uno col mondo intorno, ora vedo me stesso e mi scopro altro dal mondo. Io sono io, con la mia famiglia, la mia casa, i miei gusti, le mie simpatie, con le cose che mi riescono facili e quelle in cui devo impegnarmi di più. Non è tutto me fuori da me! Il mio compagno ha una casa diversa, fa cose diverse con la famiglia e perfino sente e pensa in modo diverso!”

Il bambino di nove anni fa una prima esperienza del mondo. Come Adamo ed Eva. Sperimenta che non vi è solo bene, sperimenta che si cresce “con il sudore della fronte”. E si accresce in lui il bisogno e la ricerca di una figura di cui potersi fidare, ora con più consapevolezza. Il bambino soppesa, in qualche modo, colui che ha di fronte e si domanda silenziosamente: “Posso ancora affidarmi a lui? E’ ancora colui che può mostrarmi “come si vive”?” Se approda ad una risposta affermativa, tutto procede. Altrimenti si crea una prima distanza. Che va ricomposta. E via via accadrà ancora, e con maggior vigore, e ciò farà parte della crescita, del processo attraverso il quale diverrà un io autonomo.

Per il Collegio Insegnanti, Alessandra Fabris    




CALENDARIO

DONA IL TUO 5 PER MILLE ALLA SCUOLA


VISITA LA PAGINA FACEBOOK