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L’insegnamento della scrittura nella pedagogia Waldorf

 Vi siete mai chiesti perché nella scuola Waldorf i bambini apprendono a scrivere in I classe in stampatello maiuscolo, in II in stampatello minuscolo e solo in III classe in corsivo?

E’ forse casuale? No, non lo è. Di casuale, va detto, nella pedagogia Waldorf non vi è davvero nulla!

Le lettere dello stampatello maiuscolo prendono forma da immagini che ne svelano la natura intrinseca (nel caso delle vocali dove la forma delle lettere riprende il gesto dell’anima corrispondente: AAAH che meraviglia! Mentre apriamo le braccia al mondo, OOOH che sorpresa! Mentre abbracciamo un bimbo che ci viene incontro, UUUH che paura! Quando ci stringiamo in noi lunghi e diritti…) oppure la forma dell’oggetto fisico che le ha ispirate (il tavolo ha proprio forma di T, la valle ha proprio forma di V, il gatto acciambellato di G o la culla del neonato di C e così via…). Il bambino di prima classe apprende quindi dapprima ciò che è più in relazione con l’origine più antica della lettera, in qualche modo la sua vera sostanza.

In seconda classe arrivano le lettere minuscole, spesso nella veste delle sorelline minori delle maiuscole. Esse dove verranno dai bambini ritrovate? Nei libri. Già, in seconda classe si incomincia a leggere ciò che esiste di stampato, e allora si apprendono le letterine minuscole. Così che poi il maestro possa confezionare e fare dono alla classe del primo libro di lettura, preziosa raccolta di tante poesie, storie e filastrocche che i bimbi ben conoscono grazie alle infinite volte in cui le hanno recitate, cantate, danzate o ascoltate nella parte ritmica del loro primo periodo di scuola. È certamente d’aiuto infatti cominciare dal leggere qualcosa che già si conosce.

Solo in terza classe si approda al corsivo. Perché? Perché il corsivo è la scrittura che il bambino può raggiungere quando in lui si è compiuta una maturazione interiore. Scrivere in corsivo richiede un movimento continuativo, fluido, dinamico. La penna non stacca mai dal foglio. Essa, guidata dalla mano, appunto fluisce, scorre. Proprio come il pensiero del bambino, che ora, parallelamente alla sua crescita animica, si fa fluido, consequenziale e può seguire un processo che ha un inizio e una fine. Non più una scrittura frammentata quindi, bensì una scrittura che dinamicamente va, e a guidarla sono Io. Questo Io che si affaccia in me, e guarda fuori, ora che sto passando il Rubicone.

E proprio dal disegno dinamico prende vita: onde del mare mosso dal vento, che seguono una ritmicità.

Qualche bimbo particolarmente attento, in terza classe, qualche settimana fa, all’introduzione del disegno dinamico, man mano che il mare andava increspandosi, ha esclamato inclinando la testa con sguardo complice e, sotto, largo sorriso:

“Maestra, ma… ci starai mica insegnando il corsivo?”

La maestra a sua volta ha sorriso.

Indovinato!

 

Per il Collegio Insegnanti, Alessandra Fabris





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